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L'attenzione al contesto come primo elemento di prevenzione

 

La prima e più banale regola per l'autodifesa è quella di "stare con gli occhi aperti", in modo da riconoscere il pericolo prima che diventi inevitabile.
L'attenzione al contesto deve avvalersi di un metodo rapido ed intuitivo di valutazione della situazione, in modo da fare la cosa giusta al momento giusto.

In pratica non esiste corso di autodifesa o di arti marziali dove prima o poi non si parli della famigerata tabella dei colori, oppure di livelli di allarme (chi non ha mai sentito pronunciare il fatidico "allarme rosso!")

Di che si tratta in pratica?

Volendo usare l'oscura terminologia dei militari, si tratterebbe del "grado di approntamento" di ciascun presidio operativo, difensivo, tattico o logistico, in funzione della situazione politica, internazionale o militare del momento.

 

Se avete visto i vari film da "giochi di guerra" in poi, nei momenti di crisi, così come in quelli di relativa pace, è previsto uno "stato di difesa" (il famoso DEFCON americano) definito con dei numeri (da 5=Tempo di pace, a 1=allarme rosso, per l'appunto).

In pratica le nazioni, come i singoli, dovrebbero avere uno "stato di allarme" appropriato a ciascuna situazione contingente (dalla crisi internazionale, al balordo incontrato per strada, al vicino che sclera per i bambini cha fan casino)

Lo scopo militare dei livelli di approntamento è primariamente in termini di coordinamento: a seconda dello "stato di difesa" deciso dal comando, ognuno sa già dove deve essere e cosa deve fare.

Questa lezione come può tornare utile a noi comuni mortali?

In vari modi, ma essenzialmente con un sano e chiaro insegnamento: sii sempre presente ed attento a ciò che ti circonda e comportati di conseguenza.
Il principio chiave è che un'aggressione è tanto più probabile quanto più il fattore sorpresa, o di vantaggio ambientale, può essere mantenuto a favore del malintenzionato.

L'esperienza  insegna che il famoso "aggressore" non colpisce a caso le sue vittime: ricorre spesso il detto "l'aggressore cerca una vittima e non un combattimento".

Pur con mille distinguo, questa affermazione può essere considerata vera in buona parte dei casi. Anche quando siamo noi a cacciarci nei guai, magari provocando apertamente il nostro carnefice, alla base di tutto c'è quasi sempre un'errata valutazione del contesto o della persona che abbiamo di fronte.

Così vediamo la povera signora che si avventura da sola in una strada buia, desolata e notoriamente frequentata da disperati, oppure l'impiegato "Fantozzi style" che alterca per questioni di parcheggio con un gorilla tatuato, rasato e col senso dell'umorismo di un orso grizzly.

 

Insomma, quello che manca spesso alla vittima è un grado di consapevolezza e di conseguente attenzione riguardo ai pericoli che corre facendo una certa cosa e/o trovandosi in un certo luogo. Troppo spesso ricorre l'affermazione del tipo "vivo in un paese civile": è solo una delle tante false sicurezze in qualche modo correlate al famoso detto "a me non può succedere...".

Ovviamente il messaggio opposto non può essere in termini paranoici, come qualcuno vorrebbe proporre: alcuni per paura di essere aggrediti attuano dei comportamenti che peggiorano la qualità della loro vita, o semplicemente aumentano il pericolo.

Così vediamo persone che si chiudono in casa, si armano (col rischio di spararsi su un piede alla prima emergenza o di avere infinite grane con la legge), limitano la loro vita sociale, assumono opinioni xenofobe o giustizialiste (come se l'ordine costituito potesse o volesse fare qualcosa).

 

La risposta come sempre è nel mezzo, nell'equilibrio personale e nella conoscenza del problema.

A proposito di pericoli, vorrei fare un parallelo che ci riguarda tutti: la sicurezza stradale.

E' noto che il traffico automobilistico miete ogni anno migliaia di vittime solo in Italia.

Se confrontiamo quante persone muoiono ogni anno nel nostro paese per incidenti stradali, con le persone che nello stesso periodo rimangono vittime di delitti, ci sarebbe da chiederci tutti per quale motivo rimaniamo così colpiti dal singolo omicidio, magari più clamoroso perché commesso dall'immigrato di turno, e rimaniamo indifferenti alla strage infinita che ogni giorno distrugge esistenze e famiglie intere.

Certamente una delle spiegazioni sta nella responsabilità dei mezzi di informazione nel creare clamore mediatico su fatti scelti con l'unico proposito di creare audience e non risposte socialmente utili: così il rumore orchestrato intorno alle bande di slavi dedite ai saccheggi in villa (qualche decina di casi in tutto) sembra coprire emergenze vere, quotidiane, fatte di migliaia di tragedie, dai costi sociali spaventosi, ma ai quali nessuno sembra potere o volere dare una soluzione.

Tornando a noi, e ricordando l'esempio degli incidenti stradali, se avessimo un minimo di coerenza, dovremmo andare nel panico ogni volta che entriamo in macchina, e non quando incontriamo qualcuno nell'androne buio sotto casa (il quale magari se ne sta andando tranquillo per i fatti suoi). Invece avviene il contrario.

Perché?

Uno dei motivi è certamente il suddetto imprinting mediatico nel nostro immaginario emotivo, ma non basta.

Quando guidiamo, siamo solitamente consapevoli dei pericoli che corriamo, ma questo non ci rende particolarmente ansiosi, invece camminare da soli in una via poco illuminata, ci crea spesso un po' di patema.

Un motivo c'è, ed è nei termini della nostra capacità (percepita) o meno di far fronte ad un eventuale imprevisto.

Facciamo un paragone, anzi due.

 

Primo paragone

  • Come si sente l'allievo medio di scuola guida quando per la prima volta alza il pedale della frizione e sente la macchina che si muove?

  • Come si sente l'individuo medio quando, da solo in una via buia, viene avvicinato dal solito cristone rasato, zeppo di piercing, con una svastica tatuata sulla fronte, e con vistosa cicatrice sulla faccia?

Secondo paragone

  • Come si sente lo stesso allievo, dopo due anni che ha conseguito la patente, guidando tranquillamente sulla stessa strada?

  • Come si sente l' individuo di prima, sopravvissuto al primo episodio, quando incontra un branco di ragazzotti, armati di mazze, chiaramente in cerca di qualcuno a cui fare la festa?

La risposta, nel caso del primo paragone, è che entrambi se la passano piuttosto male: l'adrenalina, un modo erudito per dire la semplice fifa, si fa sentire in tutti i suoi effetti e, puntualmente, il primo dei due riuscirà a spegnere il motore con un brusco sobbalzo (mandando su tutte le furie l'istruttore), mentre il secondo balbetterà una risposta incoerente al sopravvenuto, che chiede semplicemente indicazioni, perché si è perso.

 

Nel caso del secondo paragone, invece, la risposta è che l'ex allievo se la passa ovviamente meglio di quell'altro signore un po' sfigato.

Perché?

Forse l'ex allievo di scuola guida non corre pericoli?

A volergliela tirare, potrebbe uscire da una traversa un TIR e stritolare auto e conducente...

Esagerato? A guardare i numeri degli incidenti in Italia non mi sembra per niente irreale! D'altro canto, i ragazzi muniti di mazze forse stanno semplicemente recandosi a una partita di baseball e sono per questo un po' eccitati...

Lasciando da parte altre considerazioni, c'è un aspetto qualitativo a fare la differenza tra i due protagonisti: uno dei due, il guidatore, ha o ritiene di avere il controllo della situazione, il passante per strada, dal canto suo, proprio no.

Cosa significa avere il controllo della situazione?

Significa sapere dove si è e sapere cosa si deve fare in quel momento.

Chi guida l'auto sa di correre dei rischi, ma ha sviluppato conoscenze tecniche (la guida del mezzo), comportamentali (le norme del codice) e istintive (automatismi), che gli consentono di avere le reazioni giuste di fronte a qualsiasi evenienza (o quasi).

L'altro, invece, oltre a essere sfigato (il che rappresenta di per sé una colpa) non sa cosa ci fa lì, e non sa bene che cosa deve fare per togliersi dai guai.

Per ora mi sembrerebbe abbastanza, anche se vorrei fare una sottolineatura: c'è un altro pericolo mortale per chi guida. Non è la velocità, o l'ubriachezza, come i media e chi per loro si ostinano a ripetere, ma la distrazione, l'imperizia, la sottovalutazione del rischio.

Da qui la necessità per chiunque di avere sempre il giusto grado di attenzione e di valutazione di ciò che sta facendo: mentre guidi l'auto non puoi leggere il giornale (si vede anche questo per strada!), devi guidare e basta.

Quando cammini per strada, oltre a guardare mentre attraversi, guarda dove sei e dove stai andando: chi si trova sul tuo percorso?

C'è gente?

Ci sono illuminazione e, negozi?

Se il posto non ti convince, cambia strada, e stai con gli occhi aperti.

Insomma, bisogna saper valutare velocemente la situazione ed essere pronti a seconda di quello che ci succede intorno.

E la cosa può riuscire meglio se abbiamo in testa un semplice schema di riferimento, come la famosa tabella dei colori:

 

Codice Bianco: Stato di rilassamento. Niente pericoli. In questo stato si è disattenti ed impreparati. Se in questo stato qualcuno ci aggredisce, non abbiamo alcuna possibilità di reazione
Codice Giallo: Attenzione rilassata. In questa situazione sapete sempre dove siete e chi vi è passato accanto, senza che dobbiate girarvi. Anche se non siete in una situazione di pericolo, sapete che una tale situazione può sorprendervi da un momento all’altro
Codice Arancione: Allarme che richiede attenzione immediata. Qualcuno si avvicina a voi correndo nel parcheggio. Di notte sentite dei vetri che si rompono in casa
Codice Rosso: Pericolo potenzialmente mortale. E’ ora di combattere o fuggire

E qui veniamo al punto centrale della questione.

L'esperienza insegna che molte delle persone che hanno subito un'aggressione erano in "codice bianco", fino al momento in cui non si sono bruscamente rese conto del pericolo.

D'altra parte le persone paranoiche vivono perennemente nel codice arancione, rimettendoci in salute.

Tornando all'esempio (sempre calzante) di chi guida, l'autista dell'auto è (o dovrebbe essere) sempre nello stato di allerta "giallo": si tratta di uno stato di attivazione moderato e compatibile con l'esercizio prolungato (a differenza del codice arancione e rosso, che sono solo per le emergenze), permettendo rapidità di reazione di fronte alle evenienze.

Allo stesso modo, quando mi trovo per strada, o al lavoro, o in qualunque altro contesto che richieda attenzione, non mi posso permettere di rimanere nello stato di attivazione "bianco", sarei continuamente in balia di imprevisti o incidenti: è una legge di natura.

Vale per gli animali nella savana, valeva per i  nostri antenati, vale ancora oggi, quando viviamo, o ci illudiamo di vivere in una società civile.

Un aspetto fondamentale, è che è molto difficile passare in un attimo dallo stato di allerta minimo (bianco) a quello massimo (rosso). 

Il nostro organismo, il nostro cervello, non ce lo consentono: la scarica di adrenalina travolge le nostre difese fisiche, psicologiche e mentali determinando panico, paralisi o, al contrario, reazioni impacciate, rigide ed inefficaci.

E' molto più facile difenderci dal panico se percepiamo il pericolo con qualche istante di anticipo ed abbiamo il tempo di prepararci.

Un'altra considerazione importante è data dal fatto che una persona in stato "giallo", è una persona il cui atteggiamento traspare agli occhi di chi lo osserva.

Una persona così è difficile da sorprendere e rappresenta così un soggetto "poco appetibile" agli occhi di un aggressore abituale (per esempio uno scippatore) che vada in cerca di una "vittima".

L'aggressore di turno, si vedrebbe individuato ancora prima di entrare in azione vedendo così vanificato quello che è il suo più importante alleato: l'effetto sorpresa.

Un atteggiamento di questo tipo rappresenta la base di qualsiasi piano preventivo per la sicurezza personale. 

 

(Articolo gentilmente concesso dagli amici di sicurezzapersonale.net)

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