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 IL CHI NELLE ARTI MARZIALI

Una donna piccola e minuta solleva senza sforzo apparente la macchina rovesciata in cui è rimasto intrappolato il figlioletto dopo un incidente stradale. La gente assiste sbigottita: una scena che dura pochissimi istanti prima che qualcuno abbia il tempo di intervenire. Quando le chiederanno come ha fatto la giovane mamma si limiterà a scrollare le spalle: “Non lo so…è successo e basta”.

E’ accaduto molti anni fa, in Usa e, probabilmente in molte altre parti del mondo, con pochissime varianti: l’esplosione immediata di una forza interna inspiegabile e irrefrenabile, che si manifesta in circostanze improvvise prima ancora che la volontà prenda il sopravvento: la dimostrazione incontestabile dell’esistenza di quell’energia interna che i cinesi chiamano “ch’i” o più propriamente “qui”, i giapponesi “Ki”, gli indiani “prana” e gli antichi Greci “pneuma” e che sono la vera base di qualsiasi arte marziale. Senza ch’i ogni disciplina di combattimento non è altro che una sequenza di pugni, calci, prese o tecniche evasive. E’ la ricerca e la coltivazione dell’energia interna che fa la differenza tra un’arte marziale e uno sport di confronto fisico come pugilato, lotta o scuola di autodifesa.

Sul ch’i sono stati scritti interi trattati che farebbero addormentare di schianto il più coscienzioso dei praticanti. In questo spazio mi basta ricordare che il termine viene citato per la prima volta nel Tao Te Ching, che si tratta di un concetto antico come la filosofia cinese e che permea tutto il modo di pensare orientale.  L’energia interna viene accumulata nei dan dien e scorre nel nostro corpo attraverso i meridiani. Generata dalle due componenti yin/yang, viene usata nella medicina tradizionale cinese (agopuntura, moxibustione, digitopressione, tecniche di respirazione e ginnastica terapeutica) e ha il potere di curare e, all’opposto, di distruggere. La disciplina specifica che insegna a colpire o esercitare pressione sui punti vitali di accumulo del ch’i si chiama dim mark, il lavoro energetico per eccellenza di coltivazione del ch’i è il qui gong ma non esiste disciplina che lo ignori. Le arti marziali più specificamente orientate in questo senso sono aikido, tai ki ch’uan, h’sing i e ba gua ma qualsiasi praticante di judo, karate, wu shu o kendo non può ignorarlo.

Secondo il maestro taoista Ming Wong C.Y., Bruce Lee fu ucciso da un insegnante di arti marziali tradizionali che lo sfidò in combattimento. Il “Piccolo Grago” vinse lo scontro ma una tecnica di distruzione dell’energia interna che aveva subìto senza accorgersene lo portò alla morte qualche giorno dopo.

Leggenda? Forse. O magari uno di quegli aforismi di cui i maestri cinesi sono estremamente prodighi. Resta da chiedersi perché sui ring della Ufc non sia mai salito un praticante di qui gong che abbia messo fuori combattimento il suo avversario con un leggero colpetto nel posto giusto. Qualcuno ci ha provato e ha preso un sacco di botte.

A mio modestissimo parere il ch’i è in ognuno di noi, si può alimentare e incrementare ma gestirlo e utilizzarlo è difficilissimo. Tutti abbiamo una riserva di prana ma solo un pranoterapista sa farlo fluire attraverso i palmi delle mani. E spesso non funziona.

E il wing tsun? Incentrata sulla filosofia taoista, la “Radiosa primavera” non può prescindere dal lavoro energetico anche se, in molte scuole, è messo in secondo piano, così come diverse forme di tai ch’i ignorano quasi del tutto l’aspetto marziale e si concentrano sulle tecniche di salute e respirazione ma una cosa, senza l’altra, non può esistere: yin/yang.

Personalmente sono convinto che la forma Siu Nim Tao sia una delle più “energetiche” di tutte le arti marziali. Non a caso è l’unica in cui i piedi, radice dell’energia interna che sale dalla terra e scende dal cielo, non si muovono mai. Proviamo a praticarla lentamente, senza forzature, respirando naturalmente quando abbiamo freddo: la sensazione di calore e di sollievo sarà immediata. Concentriamoci nei movimenti quando siamo tesi o arrabbiati: l’ondata di benessere e rilassamento arriverà di sicuro. Abbiamo appena avuto la dimostrazione della presenza del ch’i che scorre nel nostro corpo. Sono convinto che il wing tsun sia una delle discipline che utilizzano con più efficacia il principio taoista del wu wei (non agire, non opporre forza a forza, cedere e restituire l’energia) in combattimento ma il wu wei, senza ch’i, è un guscio vuoto.

Il wing tsun è una scuola interna o esterna? Probabilmente un misto di entrambe le cose, con una collocazione a metà. Esattamente come dovrebbe essere qualsiasi attività nella cultura cinese. L’energia c’è ma non c’è, direbbe un saggio taoista. L’essenziale è non fissarcisi troppo, altrimenti si cade nell’autosuggestione. Crederci, si, ma neanche tanto.

 

Massimo Lugli
Giornalista e scrittore italiano, inviato speciale de la Repubblica per la cronaca nera e autore di romanzi gialli.

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