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L’arte della Guerra: Difesa da più Avversari

Nel 480 A.C. in Grecia si svolse una delle battaglie più famose della storia umana: la battaglia delle Termopili. In uno stretto passaggio tra le montagne e il mare si affrontarono una piccola armata greca e un titanico esercito persiano. I dettagli sui numeri dei partecipanti da entrambe le parti sono discussi duramente dagli storici, sia sul piano dei testi a noi arrivati, che forniscono numerazioni diversissime tra loro, sia sul piano di quanto era effettivamente possibile sul piano organizzativo/logistico al tempo.
La battaglia delle Termopili si svolse nell’arco di tre giorni e fu il primo e ultimo tentativo da parte delle forze greche di impedire all’armata persiana dell’imperatore Serse di penetrare il loro territorio. Millenni di letteratura, poesia e opere d’arte di tutti i generi hanno idolatrato questo evento militare e indicato quanto pesanti fossero le perdite inflitte da parte dei Greci ai Persiani, dimenticando però di chiedere ai Persiani cosa ne pensavano.
La Grecia di Erodoto, fonte principale in nostro possesso su questi eventi, era una Grecia in cui storia, arte e intrattenimento si univano in modo indissolubile. Ogni evento narrato da Erodoto, noto tanto come “padre della Storia” quanto come “padre delle Menzogne”, è scritto con il chiaro obbiettivo di essere letto davanti a un pubblico, se non addirittura rappresentato con l’accompagnamento di attori. Ogni evento è “migliorato” da dettagli a cui nessuno storico avrebbe mai potuto avere accesso, reso più simile ad una puntata di Game of Thrones che ad un libro di storia. In totale contrasto con questi testi sono i pochi passaggi arrivati fino a noi dal lato Persiano, in cui la guerra in Grecia è a malapena citata come “problemi sulla frontiera Greca”. Dal punto di vista dei secchi testi amministrativi persiani, privi di teatralità e vera narrativa, la guerra venne facilmente vinta dall’imperatore Serse.
Serse marciò sulle Termopili, perse un gran numero di uomini scalzando i Greci dalle loro posizioni, razziò Atene e lasciò dietro di sé una vasta armata ritornando in Persia vincitore. La successiva vittoria Greca a Platea è normalmente indicata come la fine dell’influenza Persiana in Grecia, un concetto che diventa risibile quando si considera il costante afflusso di fondi e investimenti Persiani in Grecia, che continuarono dal 479 A.C., anno della suddetta battaglia finale, fino ai giorni di Filippo il Macedone, padre di Alessandro Magno, più di un secolo dopo. A conti fatti i Persiani persero una battaglia combattuta da un’armata di dimensioni ridotte e “comprarono” la loro influenza in Grecia, diventandone di fatto padroni indiscussi.
Tornando alla battaglia delle Termopili, questo scontro è spesso individuato come un esempio di grande successo nell’affrontare, con una piccola forza armata di “veterani”, una gigantesca forza di unità meno professionali. Le Termopili sono indicate come l’esempio di come i pochi possono sconfiggere i molti e la strategia di base utilizzata dai Greci, sarebbe a dire di usare il territorio per costringere i loro nemici ad affrontarli in parità, senza poterli accerchiare, è citata da testi immortali quali l’Arte della Guerra di Sun Tzu. Cosa ne pensavano i Persiani di tutto questo?

Dal punto di vista Persiano l’investimento umano fatto alle Termopili non era semplicemente accettabile, era basso. Spendere una frazione dei loro uomini per eliminare l’unico vero ostacolo geografico alla loro avanzata, uccidere un importante leader politico e impossessarsi della più ricca città della Grecia, Atene, era esattamente ciò che intendevano fare sin dall’inizio. Le Termopili si possono considerare un successo solo qualora si assegni ai Persiani l’obbligo di dover vincere senza subire perdite. Considerare tre giorni di blocco come un successo, nel contesto di campagne militari che occupavano buona parte dell’anno al di fuori dell’inverno, è chiaramente un modo per cercare di tirare fuori una vittoria dalle fauci di una tragica sconfitta. Da qualsiasi lato si guardi, le Termopili rappresentano una sconfitta militare e strategica.

Dove possiamo rivolgerci quindi per trovare un efficace strategia militare per gestire la famosa situazione di “pochi contro i molti”? Anche se, sulla carta, la strategia applicata dai Greci alle Termopili può apparire astuta, la realtà con cui gli Spartani e gli altri soldati sul posto dovettero fare i conti è che usare la geografia per creare un “corridoio” significa rendersi immobili, facile preda di un nemico che voglia cercare modi di aggirare (come avvenne nelle Termopili) o che sia semplicemente perfettamente disposto a spendere le risorse necessarie a forzare.
In tempi più moderni simili situazioni di pochi capaci di gestire militarmente l’avanzata di molti si possono trovare in vari momenti storici, ma forse nessuno si adatta di più al nostro discorso del periodo napoleonico. Napoleone combatté, dall’inizio alla fine della sua carriera, alla guida del più potente esercito europeo, l’armata francese, contro praticamente ogni singolo grande paese che il mondo avesse da mettergli contro. Prussia, Russia, Inghilterra, principati tedeschi, tutti affrontarono Napoleone, rendendo ogni guerra da lui intrapresa un inferno di frecce che si muovono sulla mappa, praticamente incomprensibili senza passare ore a sbrogliare la matassa.

Napoleone gestì i suoi numerosi avversari, che si muovevano come numerose armate indipendenti, mediante una strategia di “contatto” e “reazione”. Le armate napoleoniche non si muovevano come un’entità unica ma come una grande quantità di unità più piccole, studiate per essere grandi abbastanza da ingaggiare e trattenere un nemico per qualche giorno senza venire distrutte. Queste unità si muovevano a breve distanza le une dalle altre, dando vita ad una ragnatela, o un diamante, di diversi punti collegati da linee rappresentate dai loro messaggeri a cavallo.
Questa struttura organizzativa significava che Napoleone era in grado di ingaggiare un vasto territorio, individuare il contatto “preferibile”, bloccare la “preda” sul posto e muovere il resto delle sue forze per colpire il suo nemico più vulnerabile prima che gli altri nemici fossero in grado di reagire efficacemente. Questo era possibile, riassumendo, per via di una “percezione” della situazione sul campo, offerta dalle varie unità che prendevano “contatto”. Una volta incamerate le necessarie informazioni il “corpo” dell’armata era in grado di muoversi, reagire secondo il volere del suo generale, grazie ad un complesso sistema di ufficiali con precisi livelli di indipendenza, capaci quindi di prendere piccole decisioni da soli, senza bisogno di aspettare costantemente contatto con lo stato maggiore.

Percepire, reagire, combattere una parte dei propri avversari per volta e distruggerli prima che gli altri potessero aiutarli. Nel Wing Tsun, allo stesso modo, il nostro sistema di difesa da più avversari è mobile piuttosto che statico, creato per sfruttare i movimenti dei nostri avversari per ottenere una parità numerica, accompagnata (si spera) da una “superiore potenza di fuoco”, in ogni momento del combattimento, usando l’avversario ingaggiato come blocco, o scudo, tra noi e il successivo senza mai fermarsi.

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