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Combattimento realistico e finzione intrattenitrice: i falsi miti delle arti marziali applicate al mondo della cinematografia

A chi di voi è mai capitato di godersi un buon film d’azione o un film di kungfu,  in compagnia di amici e parenti? A tutti sicuramente.

Quante volte vi sarete ritrovati ad assistere a qualche combattimento epico, scontri diretti a suon di pugni, duelli all’ultimo sangue e sparatorie da Premio Oscar immaginandovi di replicare tali scene nella vita reale?

A nessuno verrebbe da pensare che, quanto girato in una pellicola del genere, sia realmente riproducibile al di fuori del set cinematografico senza fratturarsi un osso o perdere la completa capacità deambulatoria.

Qualcuno resta comunque con  la convinzione che praticare una disciplina marziale o il semplice “saper menare” possa renderci dei campioni in ogni situazione di pericolo, trasformandoci in superuomini spaccaculi che non sentono dolore  e dotati  di straordinari poteri rigeneratori. Ciò comporta difficoltà nel percepire quella sottile linea di demarcazione che delimita il confine tra combattimento reale e combattimento realistico.

Come già ampiamente trattato da Andrea Marini nel suo articolo “Alla Ricerca del Combattimento Reale” (https://www.giuncarossa.it/combattimento-reale/), anche il  combattimento reale prevede una serie di regole, spesso non scritte ma dettata dalla prassi e da convenzioni, che scaturiscono, in primis, dal luogo reale e concreto dove l’azione si è svolta, si sta svolgendo o si svolgerà.

In molti film d’azione il “palcoscenico marziale” è puramente fittizio o altamente improbabile. Si passa da scene a bordo di un elicottero in fiamme fino all’arena del fantomatico boss di fine livello, a scene ambientate in luoghi più vicini alla realtà quotidiana (vicoli, strade, discoteche, scuole, focolare domestico, ecc.) dove, se lo scenario è reale, il combattimento non lo è affatto.

Se consideriamo la dicotomia reale-realistico, ricollegandoci a quanto detto all’inizio del paragrafo precedente, possiamo giungere a una definizione genuina di combattimento realistico.

Esso non indica il Dove, Come e Perché del combattimento, bensì il complesso di fattori (fisici, emozionali, causali o strategici) che possono verificarsi durante il combattimento stesso o in una fase antecedente, quando le parti coinvolte sono già presenti sul luogo reale. In poche parole, il combattimento realistico spoglia l’azione della finzione scenica e neutralizza ogni falso mito sull’arte marziale infallibile e autentica come la si vede nei film d’azione.

Il combattimento realistico è ricco di difetti impossibili da prevedere o annullare contemporaneamente: il numero degli avversari in gioco, gli ostacoli fisici intorno a noi, le dimensioni dell’ambiente circostante, il tipo di armi usate contro di noi influenzano largamente l’esito del combattimento stesso (per non dimenticare il nostro livello di attenzione e reazione emotiva dettato dalla stanchezza, dallo stress, dalla paura o dalla rabbia).

Così come non è umanamente possibile difendersi da più di tre-quattro avversari che attaccano contemporaneamente (figurarsi contro 88 folli armati di katana come in Kill Bill Vol.1), diventa più impegnativo muoversi in un ambiente stretto, senza uscite e con i dintorni disseminati di ostacoli, quasi spesso oggetti taglienti, insormontabili, sdrucciolosi, appuntiti, ecc.

Infine non dobbiamo dimenticarci l’uso delle armi. In un combattimento realistico è quasi impossibile difendersi da più avversari armati. A compromettere l’esito del combattimento ci si mette anche la tipologia dell’arma: contundente, da taglio e da fuoco. Mentre per le prime due categorie esiste una difesa  realisticamente efficace (comunque limitata dal numero di difetti espressi in precedenza), le armi da fuoco sono una minaccia da cui è impossibile difendersi. Scordatevi situazioni reali al limite dell’eroismo hollywoodiano come schivate di proiettili in bullet time, improbabili disarmi di una pistola a distanza ravvicinata, goffi tentativi di disarmo che prevedano lunghe discussioni con l’avversario (“dai non sparare, non farlo, abbassa quell’arma, non voglio farti del male”) mentre cautamente ci si avvicina a lui con le mani in vista col fine di distrarlo e sottrargli l’arma da mano una volta a tiro. La migliore difesa da una situazione del genere rimane un’eroica fuga verso la salvezza, mentre ogni tentativo di emulare Vin Diesel significa farsi sparare.

Possiamo concludere che il combattimento reale in un film d’azione non è sempre sinonimo di combattimento realistico. I protagonisti sembrano sempre degli esseri invincibili che non si fanno mai male seriamente, che non si fanno mai colpire dai propri avversari (eccezione fatta dal cattivo principale che è sempre di livello superiore al protagonista) soltanto perché sanno combattere o perché sono esperti di qualche disciplina marziale. Nella realtà, sapersi difendere non preclude la possibilità di farsi male.

Non ci stanchiamo mai di ripetere che conoscere le arti marziali è un “plus” che può salvarti la vita in situazioni di pericolo, ma non ti renderanno mai il degno successore del Guerriero Dragone o della Leggendaria Scuola di Hokuto. Non esiste alcuna mossa speciale che possa sterminare gli avversari (come l’oscura tecnica dell’esplosione del cuore con cinque colpi delle dita di Pai Mei in Kill Bill Vol.2).

 Il combattimento realistico (e reale) è come avventurarsi da soli nel buio di una stanza senza la possibilità di accendere la luce: non sai mai quello che potrebbe accadere. Spesso l’esito di uno scontro è affidato a eventi aleatori difficili da prevedere, dove è pressoché inutile cercare di intuire in anticipo tutte le possibili mosse che l’altro sta per compiere o la probabilità di usare una singola azione vincente (eppure in Sherlock Holmes vediamo un atletico Robert Downey Jr., noto praticante di Wing Tsun tra l’altro,  talmente geniale da riuscire a ricostruire nella sua mente tutti colpi che il suo avversario sferrerà da un momento all’altro, con tanto di contromosse efficaci e persino come e dove l’energumeno si accascerà privo di sensi).

Se avete intenzione di iniziare un’arte marziale, allora dovrete dimenticarvi quanto visto nei film finora. Quello che vi aspetta sarà un duro allenamento fatto di concentrazione, sforzo fisico e mentale, perseveranza, delusione, a volte anche noia, ma anche di soddisfazioni, raggiungimento di obiettivi personali, crescita di autostima, senso del dovere e del rispetto verso chi ci circonda. Usate i film d’azione come forma di intrattenimento e di svago, non come esempio di vita o come palestra dove allenarvi alla difesa personale. Ma soprattutto, diffidate sempre sul realismo di una pellicola Action se il protagonista, prima di fare fuoco, si ostina a tirare indietro il cane come se non avesse già fatto scorrere il carrello della pistola in precedenza.

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