Il WT di Schrödinger:
un parallelo poco ortodosso con la fisica moderna
Uno degli aspetti meno facili da metabolizzare quando si inizia la pratica del WT è il concetto di contatto e il suo utilizzo nelle applicazioni.
Le informazioni nel WT non vengono veicolate dalla vista, come nella maggior parte degli stili, ma dagli stimoli tattili, di pressione e attrito. L’allenamento di un praticante di WT si basa essenzialmente su l’abitudine a decifrare tali informazioni e ad insegnare al corpo a reagire correttamente e prontamente.
Il risultato è incredibilmente efficiente, la capacità che viene sviluppata permette al combattente quasi di prevedere il comportamento dell’avversario prima ancora che questo realizzi la sua consciamente il proprio movimento.
Tuttavia la maggior problematica di questo approccio è che per poter usare il “super potere” è necessario arrivare a prendere il contatto e come chiunque può immaginare arrivare alla distanza giusta per avere informazioni sufficienti al tempo giusto e con la forma del corpo corretta non è una banalità.
Sembra quindi che utilizzare questa metodologia sia quasi improponibile. Tuttavia con il giusto allenamento si riesce ad applicare in modo efficace anche a contesti realistici (attenzione, differenza fondamentale va fatta con il contesto sportivo in cui già il fatto di presentarsi a un incontro cambia le regole del gioco).
La fase di presa del contatto è sicuramente l’attimo che più spaventa un praticante, in cui si sente più vulnerabile e meno forte rispetto ad altri stili più comuni che si posizionano dietro a una barriera di muscoli o a guardie molto lunghe. Pertanto uno degli esercizi fondamentali per poter arrivare ad utilizzare bene il WT è proprio la presa di contatto.
La presa di contatto è quel momento prima dello scontro fisico che intercorre tra l’attimo di ingresso nella modalità combattimento e l’attimo in cui effettivamente avviene il primo contatto fisico.
Questo lasso di tempo è importante, chiaramente dipende sia dalla distanza di partenza sia dalla situazione sociale di riferimento e il bravo praticante deve essere in grado di analizzare correttamente la situazione alla prima occhiata, e quindi a livello inconscio, per poi agire di conseguenza.
Questa è una delle pochissime fasi in cui la vista gioca un ruolo fondamentale, ma attenzione a non fraintendere, si parla di visione d’insieme non di visione dettagliata, abituata attraverso un costante e lungo allenamento alla valutazione della distanza, pericolosità e possibilità di azione dell’avversario. Tutto questo deve accadere in pochi millisecondi.
Il più grande avversario da sconfiggere in questa fase del combattimento è la paura di affidarsi alla geometria e fisica del WT: finché l’effettivo contatto non avviene non si ha modo di sapere se l’agire del praticante sia stato corretto in quella condizione di combattimento, si può dire che ci si trova in uno stato di indeterminazione profonda e visceralmente viene percepito, portando inevitabilmente a paralisi dell’esecuzione.
Potremmo affidarci a una metafora per descrivere il combattente in questa situazione, sperando di chiarire il perché sia fondamentale arrivare a una confidenza profonda dell’inizio del combattimento, una metafora utilizzata in fisica per descrivere una delle proprietà fondamentali dell’infinitamente piccolo: il gatto di Schrödinger.
Austria, un fisico teorico si trova nel suo studio intento a cercare di capire il funzionamento fondamentale della natura, il suo nome è Erwin Schrödinger.
Siamo nel 1935, gli anni della nascita della Meccanica Quantistica, quella che tutti conosceranno come la branca più controversa e stupefacente della fisica moderna. In quei tempi era tutto in discussione, a mala pena se ne conoscevano le basi e tanto meno se ne comprendeva il significato profondo.
Erano gli anni delle prime teorie e dei primi paradossi, uno dei quali è il protagonista della nostra storia.
Si parla di gatti, animale che evidentemente stava molto a cuore al professor Schrödinger.
Chi non ama i gatti? E chi non sa che ai gatti piace da matti infilarsi dentro qualsiasi contenitore trovino (sfidando qualche volta le leggi della fisica della materia dello stato solido…)
Al professore venne in mente una metafora per spiegare ai colleghi e amici uno dei paradossi della neonata teoria quantistica: supponiamo di avere un gatto che entra in uno studio di un professore il quale, come tutti i professori, ha una scatola sulla sua scrivania con dentro una fiala di veleno collegata a un marchingegno particolare. Ovviamente il gatto, mosso dalla sua natura felina, si affretta a infilarsi nella scatola, prontamente lasciata aperta. Il professore, accortosi dell’accaduto decide di impartire una lezione al gatto chiudendolo simpaticamente dentro la scatola senza però valutare che nel momento in cui l’avesse fatto questa non si sarebbe riaperta se non di li a qualche minuto: il macchinario collegato alla fiala era acceso, questo significa che nel tempo in cui il blocco della scatola era in funzione c’era il 50% di probabilità che venisse inviato un impulso alla fiala che ne avrebbe causato la rottura e successiva liberazione di un veleno ammazza-gatti potentissimo. Il professore, disperato, si mette a pensare e da bravo fisico teorico profondo conoscitore della teoria quantistica si rende conto che il gatto in quel momento non è detto sia morto:
“la fiala ha il 50% di probabilità di rompersi, di conseguenza il gatto ha 50% di probabilità di essere morto...ma anche 50% di probabilità di essere vivo! Finché non si aprirà la scatola non sarà possibile stabilire quale delle due, quindi, secondo la meccanica quantistica il gatto è sia vivo sia morto! Quindi non devo preoccuparmene...purché non riapra la scatola!”
(n.d.r. nessun gatto è stato maltrattato per questo esperimento...fortunatamente era un fisico teorico)
Questa storiella, per quanto assurda e priva di senso nel mondo macroscopico, è una metafora perfetta del comportamento delle particelle elementari ma anche un po' dello stato in cui si trova il marzialista. Vediamo di capirne le conseguenze e perché questa metafora può essere una caricatura della situazione in cui ci si trova in un inizio del combattimento.
Il fatto che il gatto sia vivo o morto è legata all’osservatore (il prof) e alla sua azione di aprire o meno la scatola effettuando quella che in fisica si chiama misura. Il processo di misura si dice quindi che fa collassare in uno stato deterministico (vivo o morto) un sistema che prima era in uno stato di sovrapposizione (vivo e morto).
Ok, contro-intuitivo, ma abbastanza sensato, e quindi?
Quindi adesso consideriamo un praticante di WT all’inizio di un combattimento. Quando deciderà di partire e quindi invierà al suo copro l’impulso nervoso di start dell’azione, il sistema “combattenti” si trova (volendo estremamente semplificare) in uno stato di sovrapposizione BUONA RIUSCITA + CATTIVA RIUSCITA. Fintanto che l’azione non sarà portata a termine non saremo in grado di capire se effettivamente l’azione svolta sia stata ben svolta (portando quindi a un vantaggio) o meno, che in “fisichese” si direbbe “facendo collassare il sistema nello stato deterministico: Vittoria o Sconfitta”.
Se il praticante non si fida della sua tecnica e geometria, esitando e facendo errori macroscopici influenza deterministicamente (cioè che si può stabilire a priori) il risultato della misura e quindi l’esito del combattimento.
Chiaramente questa è una metafora simpatica e da utilizzare molto in senso lato (il mondo macroscopico non ubbidisce alle leggi della meccanica quantistica purtroppo), ma che è abbastanza funzionale, a mio parere, per far capire che il momento cruciale di un combattimento WT è la presa di contatto, la quale se andrà a buon fine darà con molta probabilità la possibilità al praticante di sfruttare al massimo le sue conoscenze per difendersi efficacemente.
E’ però importante agire e avere sicurezza nel proprio sistema, allenarsi tanto prestando bene attenzione alla tempistica e alla forma. A tal scopo è importante perdere tempo sull’allenamento di questa sezione di combattimento, senza lasciarsi prendere dalla foga dello scontro, perché nelle applicazioni è su questo attimo che si gioca il successo dell’azione: qualsiasi titubanza, rigidità o dubbio porta inevitabilmente “il professore” a “chiudere nella scatola un gatto che è già morto”.
Dott. Edoardo D'Andrea allievo della Giuncarossa, laureato in fisica all'Università "la Sapienza" di Roma