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Da sempre la GiuncaRossa si impegna nel diffondere la cultura della "sicurezza personale", temine, a nostro parere, più adatto dell'abusato "difesa personale".

Bell'articolo del giornalista e scrittore Massimo Lugli con il parere di Sifu Paola de Caro.
Pubblicato su "Il venerdì" di Repubblica  del 16 febbraio 2018

FIGHT CLUB ITALIA: POCHI SOLDI MOLTO SANGUE.

Dalla pineta di Ostia ai capannoni dell’hinterland milanese, viaggio nel mondo degli incontri clandestini.

Dove non esiste alcuna regola. Se non quella di non parlarne mai

ROMA. Due uomini che si affrontano in una lotta selvaggia a pugni, calci, leve articolari, colpi sferrati con la testa, i gomiti, le ginocchia. Un cerchio di spettatori urlanti.

Banconote che passano di mano. Vedette appostate nei dintorni nel caso arrivino polizia o carabinieri, pronte a lanciare l'allarme e scatenare il fuggi fuggi generale.

Insomma, cambiamo qualche dettaglio che dettaglio e siamo in pieno Figth Club anche se raramente i combattenti hanno i lineamenti intatti e il fascino da monellaccio di Brad Pitt.

Pugili in disarmo, esperti di arti marziali, wrestler senza fortuna ma soprattutto combattenti delle mille versioni legali di free fight scendono in campo in questi scontri senza arbitro e senza regole dalla periferia di Palermo ai capannoni abbandonati del Napoletano, dalla pineta di Ostia all'hinterland milanese.  Fenomeno sottostimato e sottovalutato, molto più frequente nelle regioni del Centrosud rispetto al settentrione, quello dei combattimenti illegali tra uomini è un evergreen nel mondo variegato e sfuggente delle gare clandestine tra macchine, moto e cavalli o dell'orrore degli scontri tra cani, cani e cinghiali e perfino, qualche volta, tra una muta di cani e un orso.
Uomo contro uomo, senza badare a categorie di peso o tecnica di lotta, vince chi resta in piedi o costringe l'altro alla resa. Gli ingaggi non sono certo da capogiro: il perdente incassa dai mille ai 1.500 euro, a seconda del curriculm che ha alle spalle, e la borsa di chi vince supera raramente i 2.000. Le puntate oscillano tra i 200 e i 400 euro a incontro e, in sostanza, gli scenari di lusso di tanti film americani, almeno da noi, non esistono. Ci si batte per mettersi alla prova, per ferocia, per il gusto del sangue più che per soldi. 

«Io ho provato una volta e ho smesso subito», racconta Bruno, 37 anni, romano del Laurentino 38, ex peso welter di buone prospettive, una carriera di pugile dilettante stroncata, racconta lui, da un infortunio alla mano (che non gli ha impedito però di battersi a pugni nudi). «Ne avevo sentito parlare da un amico e quando mi ha proposto di combattere mi sono detto: perché no? Tutto sommato è stata una faccenda abbastanza squallida: mi hanno fatto salire su un'auto con due romeni, siamo andati a Ostia, abbiamo cambiato macchina e siamo arrivati in pineta. C'erano una ventina di persone a fare da pubblico. Il mio avversario era un macedone pieno di tatuaggi che sembrava proprio tosto. All'ultimo momento mi hanno detto che faceva thai boxe e dovevo stare attento ai calci e alle gomitate. Ci siamo studiati un po', ho accorciato la distanza, gli ho mollato destro-sinistro dritti in faccia e l'ho steso. Fine della storia. È stata la prima e ultima volta».

A differenza dei combattimenti tra animali, quelli tra uomini non vengono monitorati dagli ambientalisti né controllati stabilmente dalle forze dell'ordine, anche perché si tratta di giri molto chiusi. Intervenire durante i match è quasi impossibile, e se qualcuno si fa male sul serio al Pronto soccorso, racconta la favoletta di un incidente stradale o di un'aggressione per rapina. I medici, quasi sempre, fanno finta di crederci. Nessuna statistica del ministero: arresti e denunce si contano sulle dita di una mano.

Negli anni 60, Enzo Pulcrano, pugile e attore romano che andò al tappeto dopo un memorabile match con l'avversario di sempre, Giovanni Zampieri, ammise a mezza bocca di aver partecipato a qualche incontro illegale. Ma si trattava essenzialmente di boxe fuori dal ring, con guantoni, arbitro e le stesse regole dei quadrati ufficiali. I combattimenti clandestini sono tutta un'altra storia.

Una storia che ha una lunga tradizione alle spalle e una concorrenza invincibile nella sigla Ufc, Ultimate fighting championship, versione sportiva che continua ad andare forte in moltissimi Paesi, dagli Stati Uniti agli Emirati passando per Giappone, Russia e mezza Europa. L'idea, in realtà, nacque in Brasile dove Hélio e Carlos Gracie, praticanti di una versione carioca del ju jutsu (secondo la leggenda l'avrebbero imparato da un nobile fuggito dal Giappone), gli diedero un nome che era tutto un programma: ValeTudo. Il concetto era semplice: vediamo chi mena sul serio e quale tecnica funziona meglio in uno scontro in cui è vietato solo mordere e cavare gli occhi. Karateka, esperti di judo, lotta, kung fu, silat indonesiano e tutte le discipline marziali del mondo scesero nell'arena (a volte un ottagono,,a volte una gabbia, a volte il classico ring da pugilato) e impararono presto la lezione: nessuna disciplina è più efficace delle altre, conta solo l'atleta. Nacquero così le MMA (Mixed Martial Arts), cocktail di grappling, close quarter combat, pugilato e boxe tailandese che, oggi, è diventato uno sport in piena regola, addolcito spesso da qualche regola che serve soprattutto a renderlo più spettacolare. Le scommesse, quando ci sono, scorrono su un terreno legale e gli incidenti gravi, tra l'altro, sono meno frequenti che nella boxe occidentale classica.

Fuori dal circuito restano gli happening in salsa californiana dei Dog Brothers, praticanti di escrima filippina che, in grandi raduni conditi di musica e di birra, si affrontano a contatto pieno con i bastoni di rattan in pugno. Nessuna tecnica è vietata: botte da orbi. Alcuni marzialisti italiani, tra cui un medico romano abbastanza noto, sono partiti per partecipare con lo spirito con cui si va alla maratona di New York. Ma stiamo parlando, sempre e comunque, di sfide che rientrano nell'area della legalità. Un mondo di sudore, sangue, sacrificio e pochi spiccioli, come in tutti gli sport minori.

Gli incontri clandestini, invece, coinvolgono soprattutto gli stranieri. Atleti dalla fedina penale con la prolunga o una relazione pericolosa con alcol e droga, oppure semplicemente rissaioli da strada formati a forza di botte, si cimentano in zuffe quasi sempre brevi e cruente sulla falsariga delle felony fight, il pugilato illegale a pugni nudi che continua a furoreggiare negli Usa. Una figura quasi mitologica di questi moderni ludi gladiatori, il lottatore Kevin Ferguson, alias Kimbo Slice, fece il percorso inverso, passò alle MMA con un discreto successo, poi al pugilato e si ritirò imbattuto.

Un'altra variante sono le sfide tra praticanti di arti marziali diverse, spesso nel segreto di una palestra dopo l'orario di chiusura che vengono a volte filmate a uso e consumo dei social. «Qualche tempo fa un mio allievo arrivò in palestra ridotto in condizioni pietose», racconta "sifu" (maestro) Paola De Caro, istruttore capo della scuola Giuncarossa di Wing Tsun, una delle arti marziali cinesi più brutali ed efficaci, inventata da una suora buddista del XV° secolo. «Ammise di aver partecipato a un incontro clandestino dove lo avevano pestato di brutto. Come insegnante considero un fallimento il solo fatto che abbia voluto provarci. Tentare di riprodurre in una gabbia quello che si impara in palestra è follia suicida, le arti marziali sono un'altra cosa. Quel ragazzo era gonfio di muscoli e arroganza. «Non sono riuscita a farlo ragionare e, alla fine, ha lasciato la scuola». Chissà se ha continuato ad allenarsi altrove e, magari, a combattere in qualche radura o in qualche capannone.

 

Massimo Lugli

Articolo di Gianluca Nicoletti pubblicato su "La stampa" del 29 novembre 2006

A lezione di Arti Marziali per combattere i bulli in classe.

Basta subire la violenza dei bulli, è ora che i nostri figli imparino a difendersi!

Ed ecco che l'esercito silenzioso dei genitori di bambini «fuori standard» ha cominciato a mandare i figli a scuola di kung fu.

Lo fanno quei poveretti che non sono riusciti a generare prole spavalda e chiassosa come da moda corrente.

Quei papà e mamme che hanno passato tempo nelle librerie, a teatro, a vedere mostre, insomma i genitori delle vittime predestinate di ogni bullo.

Mentre la società italiana è divisa tra lo sdegno e la sorpresa, mentre gli esperti si preparano a discuterne, mentre tutti chiedono a tutti di intervenire...

Beh, molti genitori dei «fuori standard» si sono già organizzati da tempo, stanchi di vedere i figli tornare a casa pestati e mortificati sono scesi sul sentiero di guerra.

Tra le innumerevoli discipline marziali possibili, quella preferita dalle vittime da bulli è il wing tsun, elaborata nella seconda metà del XVIII secolo dalla monaca cinese Ng Mui, costretta a difendere le consorelle dagli assalti di uomini brutali e forzuti. Oggi la pratica è diffusa anche in Italia, dove il testimone della monaca Shaolin è stato raccolto dalla «Si je» (sorella maggiore) Paola de Caro, da dieci anni istruttrice di wing tsun in una palestra romana. Paola pesa 49 chili per un metro e sessanta di altezza, ma racconta che quella volta che tentarono di scipparla alla Stazione Termini la folla intervenne, ma solo per mettere in salvo il malcapitato rapinatore. Ai suoi allievi, occhialuti e gracilini, Paola insegna come cambiare atteggiamento di fronte ai bulli: «Cerco di abituarli a non porsi di fronte agli altri come delle vittime, il bullo fondamentalmente è un vigliacco, si sceglie uno più debole e lo aggredisce perché è sicuro di poter vincere». La maestra spiega che, quando si è consapevoli che all'occorrenza si saprebbe come reagire, non si viene più identificati come vittime: «E' una questione di sguardi, di tono della voce, di maniera di rispondere o non rispondere a una provocazione. La prima cosa che insegno è di evitare il più possibile uno scontro, ma non si può nemmeno bluffare, per avere una padronanza sufficiente del wing tsun occorre una pratica di tre ore a settimana per tre anni, se si inizia da molto piccoli». La Si je non ha pregiudizi, anzi sarebbe molto felice di occuparsi anche della «redenzione» dei bulli. Le lezioni avrebbero anche una loro utilità «riabilitativa»: «Avrebbe molto senso far praticare questa disciplina anche ai bulli, dovrebbero imparare a incanalare l'aggressività. Per questo servirebbe una disciplina che insegni che atto di vigliaccheria suprema sia aggredire uno più debole».

Intervista a Sifu Alessandro Messina pubblicato su "Il Tempo " del 02 marzo 2009

il-tempo-02-03-09_TSCUOLA DI WINGTSUN GIUNCA ROSSA Nella capitale dal 1993 i corsi di difesa personale curati dal Sifu Alessandro Messina

Non parliamo di una disciplina sportiva, ma una vera e propria arte marziale in quanto prepara chi lo pratica ad affrontare reali situazioni di pericolo.

Ne parliamo con il Sifu Alessandro Messina che cura i Corsi di difesa personale nella Scuola di Wing Tsun Giunca Rossa: «In effetti non esistono gare di Wing Tsun, ne tantomeno esibizioni, perchè questa è un 'arte logica, efficace, realistica ed essenziale. I nostri corsi non insegnano alcun movimento acrobatico, ma hanno bensì un solo ed unico fine, quello di dotare i nostri allievi di meccanismi automatici che generano una valida reazione difensiva. Oggi si sente sempre più spesso parlare di bullismo e di violenza, praticando il Wing Tsun non si diventa invincibili, ma sicuramente si gode di una capacità di autodifesa pronta, forte ed adeguata».

Ci spiega meglio in cosa consiste lo Wing Tsun e chi può praticarlo?

«Si può praticare a qualsiasi età, abbiamo alunni di 13-14 anni che hanno iniziato quando ne avevano sette. Prima non è consigliato perchè la capacità di attenzione non è ancora sufficiente. Questa disciplina non richiede un fisico atletico, ma una grande capacità di attenzione. Non si basa sulla forza, è anzi orientata a sfruttare a proprio vantaggio quella dell'aggressore. Non dimentichiamo che i malintenzionati scelgono la propria vittima proprio perchè appare debole ed indifesa. Quello che gli allievi apprendono è il gestire le emozioni, dei veri e propri automatismi concreti ed efficaci in grado di risolvere a proprio favore delle spiacevoli situazioni, parliamo di aggressioni, che avvengono nella strada, in situazioni psicologiche caratterizzate dalla paura, non certo di mosse eleganti o elastiche nella tranquillità di una palestra».

Quanto tempo occorre a chi inizia per maturare un'adeguata capacità di autodifesa?

«Con il tempo si può affinare ed evolvere, ma generalmente già dopo pochi mesi si sviluppa una sufficiente ed adeguata capacità di autodifesa."